La stralunata compagnia francese fa tappa a Bologna in agosto. Il fondatore: «Amiamo incontrare le persone per strada»
BOLOGNA - Elogio della lentezza. Del ritmo della poesia. Come quei 4 o 5 km all’ora percorsi dalla carovana di carrozzoni trainati da cavalli e popolati da acrobati, clown, giocolieri, cantastorie e animali da cortile. Un massimo di 20 km al giorno. Ed è così, con la stessa magnifica lentezza, che torna in Italia il Cirque Bidon, capitanato dall’instancabile François Rauline, fondatore della stralunata compagnia nel 1974. Questa perla francese del circo contemporaneo attraverserà le Alpi e inizierà la sua tournée in regione l’11 giugno a Pennabilli per terminare a Bologna, dal 20 agosto al 5 settembre, al Parco 11 settembre, all’interno del cartellone del Comune «Be Here», grazie a Teatro Necessario. Il Circo aveva fatto tappa a Bologna nel 2016, all’Ippodromo, dopo essere stato lontano dal Bel Paese per 15 anni, e il successo l’aveva travolto. «Dovevamo restare un mese, abbiamo dovuto fermarci per un altro ancora», ci dice Monsieur Francois, ormai ribattezzato, lui stesso, «Bidon».
Quindi, è contento di tornare a Bologna?
«In Italia abbiamo sempre goduto di un’accoglienza calorosa, più che in Francia».
È da più di 40 anni che vi spostate in lunghe carovane ma il mondo è cambiato: la gente vi segue ancora lungo la marcia?
«Oggi come allora si formano cortei dietro ai nostri carrozzoni, le persone scendono in strada, vogliono conoscerci. Parliamo. Nei paesi ci chiedono di fermarci. Anzi negli anni sono diventati tutti ancora più gentili ed entusiasti».
Problemi con il traffico?
«Quello sì, ci tocca battere strade di campagna o secondarie, ma gli automobilisti sono diventati più pazienti. Fino a qualche anno fa i vigili facevano storie per lo sterco dei cavalli».
Vigili francesi o italiani?
«I problemi più grossi li abbiamo avuti con i poliziotti francesi. Fin dall’inizio. Sa, negli anni 70 il circo di strada non esisteva, quando ci fermavamo per gli spettacoli eravamo abusivi. E anche se veniva, sempre, tantissima gente, non bastava per non essere perseguitati. Ci è voluto tempo per essere riconosciuti anche dalle istituzioni».
E in Italia?
«Erano più buoni. Un poliziotto in borghese nascosto in mezzo al pubblico, durante uno spettacolo si accorse che mio figlio di un anno aveva la tosse: mi offrì il miele. un altro mi aiutò a ferrare un cavallo con il metallo delle sue scarpe».
E ogni volta uno spettacolo nuovo. Cosa presenterà ad agosto?
«Entrez dans la danse!, Immagini coreografiche e funamboliche attorno al concetto di danza: movimento, poesia, ricerca. Vogliamo sorprendere. Ci saranno anche delle cantanti, musica e teatro. Ridiamo e facciamo ridere. Il pubblico deve sognare».
Siete sempre senza tendone e recinti?
«È la nostra caratteristica. La pista è delimitata dalla carovana. La gente può sempre venire a trovarci. Spesso ci porta vino, salami, formaggi, parla con noi. Diventiamo amici, e anche dopo lo spettacolo la festa continua tra chiacchiere e musica».
Lo spettacolo contempla anche numeri con le galline: è lei che le addestra?
«Sì, non tutte le galline sono adatte, bisogna saper scegliere quelle giuste, quelle più intelligenti. Poi ci sono dei trucchetti per premiarle quando fanno bene, ma capiscono subito. Le metto sopra a un filo e riesco a far capire loro che devono stare ferme. Non le maltrattiamo mica, stanno benissimo: fanno anche le uova. Così come stanno bene i cavalli».
Come le è venuto in mente di intraprendere questa avventura del circo?
«A vent’anni io ero a Parigi a fare il cesellatore di bronzo ma sognavo una vita sempre diversa ogni giorno. Ho conosciuto una trapezista di un grande circo tradizionale e abbiamo coltivato il sogno di spettacoli più veri, artigianali, poetici. La storia d’amore è finita presto ma non il mio sogno e sono andato avanti. Poi ho conosciuto un’altra trapezista...e poi altri circensi..».
Non deve essere stato facile .
«Per niente,all’inizio eravamo in pochi, con un piccolo carro ci fermavano per strada con il cappello per le offerte. Io stesso sono autodidatta. Prima facevo il mangiafuoco, poi ho domato i cavalli e ho imparato ad addestrare le galline».
Adesso che il circo contemporaneo è una professione, come sceglie i suoi artisti?
«Vengono da tutta Europa, dalle scuole. Facciamo audizioni e oltre che alla capacità tecnica valutiamo la capacità di legare con le persone. Siamo in 15 e stiamo sempre insieme da aprile a ottobre, è importante avere affinità».
Agli esordi, invece, la capacità tecnica non era importante?
«No, per questo ci siamo chiamati “bidone”, così la gente non poteva protestare. Adesso, certo, siamo molto più bravi ma ancora non ci prendiamo troppo sul serio. Anche se, ogni volta, il calore del pubblico e i lunghi applausi mi fanno venire le lacrime agli occhi per l’emozione».
Di Luciana Cavina
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